«Sono emozionato». Ha iniziato con queste parole la sua prima conferenza stampa internazionale l’astronauta italiano dell’Esa Luca Parmitano, parlando ai giornalisti nel Centro spaziale astronauti dell’Agenzia Spaziale Europea a Colonia, alla presenza del Direttore Generale dell’Esa, Jan Woerner. Rientrato da appena due giorni dalla missione spaziale dell’Esa Beyond durata 201 giorni, Luca è apparso in piena forma.
Chiamato a scegliere un aspetto particolarmente rilevante di questa missione, Parmitano pur dichiarando che «è sempre difficile scegliere un evento su tutti gli altri» ha sottolineato «l’unità dell’equipaggio» a bordo della Stazione Spaziale Internazionale.
Pamitano ha sottolineato come il retaggio della Iss sia l’incredibile capacità di riuscire ad unire le persone a bordo sotto la grande bandiera della scienza: «A livello emblematico quei giorni trascorsi fra l’Expedition 60 e l’Expedition 61, quando sulla Iss sono arrivati il primo astronauta degli Emirati Arabi Uniti, il musulmano Hazza Ali al-Mansuri, e l’astronauta Jessica Meir di religione ebraica». «Si dice che nello spazio, sulla Iss le persone partono e lavorano come un equipaggio ma poi rientrano a Terra come fratelli e sorelle».
Non ha dimenticato le complesse e intense Attività Extraveicolari (Eva) compiute nel corso della missione Beyond (ben 4 ndr), l’astronauta italiano dell’Esa Luca Parmitano affermando di avere «percepito la perfezione dell’addestramento».
Ma è stata la fragilità del nostro pianeta il punto più importante sottolineato dal nostro astronauta. Una fragilità che dallo spazio si percepisce vera. L’astronauta dell’Esa ha sottolineato come vista dall’alto del nostro pianeta, dalla Stazione Spaziale Internazionale, «ti rendi conto che quello che hai visto fino questo momento della Terra è solo una piccolissima parte di un sistema vivente» che è a rischio. Ma, ha sottolineato Parmitano, «la vita continua ben oltre i danni che stiamo facendo perché l’universo è predisposto per la vita». A rischio invece «è l’uomo e bisogna agire».
Dallo spazio «si vede la fragilità, la bellezza della natura che si ribella». «Nei 7 mesi in orbita abbiamo assistito a uragani mai visti prima: dalle Bahamas a Portorico». «Abbiamo visto fuochi bruciare nelle foreste Amazzoniche, in Africa, in Australia». «Ho fotografato l’Australia per 4 mesi, un intero continente in rosso» ha commentato l’astronauta. «Questa fragilità così evidente ha l’effetto di farci pensare: qual è l’elemento più fragile? Me lo hanno chiesto anche al summit sul clima all’Onu. Era una domanda che non mi aspettavo: la cosa più fragile siamo noi uomini» è la risposta.
«La vita – ha osservato Luca Parmitano – continuerà ben oltre i danni che stiamo facendo, l’Universo è predisposto per la vita, la vita è perfettamente allineata con i principi della fisica, quindi continuerà ad esserci ma non è detto che in futuro ci sia l’uomo in questo sistema». «Se vogliamo preservare l’uomo è il momento di agire. È un problema che ci riguarda molto, molto da vicino» ha concluso l’astronauta.
Fonte: globalscience.it - Autore: Francesco Rea - Data: 8 febbraio 2020