Gli studi di Ispra raccontano che le aree del Po sono tra quelle con maggiore densità di rifiuti ma è sos anche nelle acque siciliane e del Mar Ligure. Ecco il lavoro dei pescatori-spazzini
Troppa plastica sui fondali
Mediterraneo malato grave
Una delle principali minacce ambientali del pianeta è la massiccia presenza di plastica in mare. Ad illustrare la situazione italiana arrivano i risultati delle attività effettuate da Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale del ministero dell’Ambiente e dal Sistema per la protezione dell’ambiente Snpa, che ha monitorato la qualità dei nostri mari negli anni 2017 e 2018. Il 7% degli otto milioni di plastiche in mare ogni anno, finisce nelle acque del Mediterraneo. Un dato che in termini di quantità significa che il 77% dei rifiuti presenti nelle nostre acque è composto dalla plastica, e che ogni zona di mare è colpita, a più livelli, da questo terribile fenomeno. Allarmante la situazione dei nostri fondali: nella regione adriatico-ionica la media degli scarti rinvenuti supera i 300 rifiuti ogni chilometro quadrato, l’86% dei quali è plastica, in particolare usa e getta. Imballaggi industriali e alimentari, shopper e bottiglie di plastica, comprese le retine per la mitilicoltura, sono i rifiuti più comuni. L’area costiera a sud del delta del Po (983 rifiuti al chilometro quadrato), quella settentrionale (910 rifiuti al chilometro quadrato) e meridionale (829 rifiuti al chilometro quadrato) sono le località adriatiche-ioniche con la maggiore densità di rifiuti in fondo al mare. Nelle acque siciliane sono stati rinvenuti quasi 800 oggetti di plastica, per un peso complessivo superiore ai 670 kg, mentre gli oltre 400 oggetti in plastica trovati nelle calette della Sardegna ammontano a quasi 90 kg. Nei fondali rocciosi, dai 20 ai 500 metri di profondità, il primato della concentrazione più elevata di rifiuti per ettaro va al Mar Ligure, con circa 1500 oggetti, seguito dal Golfo di Napoli (1200 oggetti). Significativo anche il dato relativo alla plastica pescata dai pescherecci (fondamentale la loro collaborazione), 224 mezzi coinvolti nel monitoraggio dei fondali marini nel mare Adriatico dal 2013 al 2019, ben 194 le tonnellate di rifiuti impigliati nelle reti dei pescatori, di cui 45 solo nella zona di Chioggia. Non ultimo, il dato sulle microplastiche, particelle di plastica praticamente invisibili (inferiori ai 5 millimetri) presenti in superficie che spesso finiscono per essere mangiate dai pesci che ritroviamo sulle nostre tavole: la densità media delle microplastiche è compresa tra 93mila e 204mila per chilometro quadrato. Anche nel nostro Paese il problema della plastica in mare è ormai tangibile e contribuisce ad una situazione internazionale insostenibile. L’Europa sta facendo la sua parte, varando nei mesi scorsi la nuova Direttiva che vieta a partire dal 2021 piatti, posate, cannucce, aste per palloncini, bastoncini cotonati e altri oggetti di consumo creati in plastica monouso. Una stretta, quella proveniente dalla Ue che, se non ancora decisiva, mira a indebolire ulteriormente il fenomeno della dispersione di plastica nell’ambiente. Il resto dobbiamo farlo noi. Il Parlamento approvando rapidamente il ddl 1310, fermo dal 15 luglio in Senato, per definire le misure per il recupero della plastica in mare con i relativi incentivi e noi fruitori dei nostri territori e delle nostre acque, per contribuire ad allungare la vita del pianeta, mantenendolo pulito.
Fonte: Messaggero Veneto - Autore: Alfredo De Girolamo - Data: 10 Ottobre 2019