Dyva Italia - Rassegna Stampa (27)
Si chiamano plasticrust e pyroplastic, sono le nuove facce dell'inquinamento da plastica: sono state già rilevate in Toscana.
"Inquinamento da plastica" è un'espressione obsoleta: meglio parlare di "plastiche", al plurale. E non stiamo parlando solo dell'ormai nota distinzione tra macroplastiche (bottiglie, sacchetti...) e microplastiche, ma del fatto che la quantità e varietà di materiale plastico che ha invaso i nostri oceani è ormai tale che chi studia l'argomento la divide in sottocategorie, creando una vera e propria tassonomia della plastica. E l'ultima notizia in merito arriva dall'Italia, dove per la prima volta sono state trovate tracce di due tipi di plastica finora assenti nel Mediterraneo.
Piro-che? Per ora hanno solo nomi inglesi: si chiamano plasticrust e pyroplastic. La prima è una contrazione di "plastic crust": è una vera e propria crosta di plastica che si forma sulle rocce, in seguito allo sfregamento costante di sacchetti e bottiglie; finora se n'erano trovate tracce nel mare al largo di Madeira, in Portogallo. La seconda, invece, è plastica bruciata e indurita, che si presenta sotto forma di "sassetti": le coste inglesi ne sono piene. Entrambe sono state trovate su una spiaggia dell'isola del Giglio da un team tedesco del Federal Institute of Hydrology di Coblenza.
Galeotto fu il falò. I ricercatori hanno trovato tracce di plastic crust su rocce che finiscono regolarmente sott'acqua a causa della marea, e globuli di pyroplastic su una delle spiagge vicine. La colpa della presenza delle prime è quasi certamente attribuibile alle bottiglie di plastica, che, dicono gli scienziati, sono ormai una presenza fissa sulle spiagge del Giglio. I secondi, invece, potrebbero essere il risultato di un falò acceso da un gruppo di campeggiatori. Qualunque sia la causa e chiunque siano i responsabili, il problema rimane: anche queste plastiche rischiano di venire ingerite accidentalmente da granchi, lumache e altri animali, e di entrare in questo modo nella catena alimentare del Mediterraneo.
Focus Fonte: Focus - Data: 22 novembre 2019 - Autore: Gabriele Ferrari
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L’ambiente e la sua tutela: uno dei temi più caldi a livello globale, letteralmente.
L’emergenza impone gesti di responsabilità che riguardano tutti, ma spesso è difficile mettere realmente a fuoco quanto e come contribuiscano al deterioramento del pianeta alcuni dei prodotti che usiamo quotidianamente.
Un esempio? Secondo le più recenti ricerche scientifiche, il bucato e i detergenti per la casa inquinano più delle automobili.
Gli scaffali dei supermercati presentano sempre più alternative ecologiche ai detersivi tradizionali, ma il punto interrogativo rimane quello dell’efficacia.
Tutti i panni sono stati lavati a 40 gradi per ben 4 quattro volte nella stessa lavatrice, come prevede il protocollo Aise, con risultati che, si spiega in una nota, “fanno emergere una triste verità: quando si parla di detersivi, è ancora molto difficile coniugare il rispetto dell’ambiente con l’efficacia.”
La prova effettuata dal Salvagente ha dimostrato, in modo evidente, “che un detersivo che voglia smacchiare in modo più che buono necessita necessariamente di contenere numerose sostanze inquinanti al proprio interno.
A garantire un bucato senza macchie sono soprattutto i tensioattivi, una componente chimica che deve garantire per legge una biodegradabilità non inferiore al 90%, e i ben più temibili sbiancanti ottici e conservanti sintetici come il methylisothiazolinone, che hanno proprietà scarsamente biodegradabili nel primo caso e danneggiano sia l’ambiente che la pelle umana nel secondo.
Le alternative, purtroppo, funzionano meno o non hanno affatto efficacia. Almeno non più di un lavaggio con sola acqua come hanno dimostrato le prove sulle Noci Lavatutto vendute da Naturasì e sul TerraWash, le palline di magnesio molto vendute on line.
Coniugare rispetto dell’ambiente, della salute e panni puliti – conclude il mensile leader nei Test di laboratorio – è ancora un sogno difficile da raggiungere.“
Meteoweb - Fonte: Meteoweb - Data: 25 Settembre 2019 - Autore:
Duro sfogo di Jovanotti contro chi cerca di ostacolare il suo tour "in nome dell'ambiente ma senza verificare i fatti. Noi ci fidiamo del consiglio del Wwf". La replica di Legambiente: "Abbiamo fatto rilievi puntuali su tre spiagge"
di GIACOMO TALIGNANI
QUANDO l'hanno attaccato perfino sui fenicotteri rosa, Lorenzo Cherubini ha perso definitivamente la pazienza. Così, con un lungo post pubblicato sulla sua pagina Facebook, Jovanotti ha deciso di sfogarsi una volta per tutte contro alcune associazioni e quelli che lui ritiene "pseudo ambientalisti", sedicenti ecologisti e decine di altre figure che continuano ad attaccare - soprattutto dal punto di vista ambientale - il "Jova Beach Tour" sulle spiagge e l'impatto che il mega concerto potrebbe avere nei confronti della natura.
Quando fu annunciato il mega tour di Jovanotti a fine 2018 il cantante si presentò sul palco affiancato dalla presidente del Wwf Italia Donatella Bianchi, con tanto di panda peluche: spiegò che la sua grande festa sarebbe stata fatta solo a condizione di rispettare la natura, a partire dalle attenzioni necessarie per portare a più di 40 mila persone su una spiaggia e fare sì che il giorno dopo risultasse pulita. Così spiegò di iniziative plastic-free per evitare la dispersione dei rifiuti e di attenzioni precise tutte rivolte all'ambiente. Poi però arrivò il fratino e subito dopo Reinhold Messner (che dopo il concerto di Plan de Corones ha stretto la mano all'artista). Nel primo caso, per via della nidificazione degli uccelli vicino alle spiagge, lo stesso Jova decise di spostare di qualche chilometro la tappa prevista a Ladispoli, portandola sulla spiaggia di Marina di Cerveteri. Il famoso alpinista invece polemizzò con il cantante per "disturbare la quiete della montagna", ma il concerto a Plan de Corones è comunque andato in scena.
Sempre dalla Romagna è poi arrivata recentemente l'accusa a mezzo stampa, da parte di ornitologi e associazioni, sul fatto che lo spettacolo potesse disturbare i fenicotteri rosa presenti nelle vicine lagune. In mezzo, mesi di polemiche da Rimini a Cerveteri, da Vasto a Roccella Jonica o all'Isola Dino, in Calabria, dove la tappa del tour è stata messa nel mirino da chi temeva l'impatto sulla " primula di palinuro (Primula palinuri Petagna)".
Accusa dopo accusa e concerto dopo concerto Jovanotti ha reagito a più riprese, prima decidendo di annullare o spostare alcune tappe, poi replicando alle polemiche come quella con Messner e infine chiosando sulle critiche più futili. Ora però, furioso per altrettante critiche al suo show estivo, ha deciso di sfogarsi, ricordando che "quando abbiamo iniziato a progettare JBP la primissima cosa che abbiamo fatto è stato contattare il Wwf per poterli incontrare per raccontare l'idea e chiedere a loro un parere, e sono stato io personalmente a metterla come condizione di partenza".
Loda il Wwf come punto di riferimento che ha "un vero comitato scientifico e una rete vera e diffusa di operatori ed osservatori" in grado di consigliarlo al meglio. Nonostante ciò, a sua sorpresa, spiega che "non mi sarei mai aspettato, nonostante non sia un ingenuo rispetto a questo genere di cose, che il mondo dell'associazionismo ambientalista fosse così pieno di veleni, divisioni, inimicizie, improvvisazione, cialtroneria, sgambetti tra associazioni, protagonismo, narcisista, tentativi di mettersi in evidenza gettando discredito su tutto e su tutti, diffondendo notizie false, approfittando della poca abitudine al "fact checking " di molte testate. Il mondo dell'ambientalismo è più inquinato dello scarico della fogna di Nuova Delhi!". Poi prosegue togliendosi qualche sassolino, indirizzato anche a Legambiente ed Enpa.
"Pensavo e penso ancora che la collaborazione con il WWF sia garanzia di rispetto delle aree. Invece un delirio nei social, una miriade di cazzate sparate a vanvera da chiunque, una corsa al like facile da parte di sigle e siglette che hanno approfittato ogni giorno della visibilità offerta da un nome popolare e da un grande evento per cavalcare l'onda, mettersi in mostra, inventare palle, produrre prove false che nessuno mai verificherà perché la rete è così. Addirittura "Lega ambiente" e "Ente Nazionale Protezione Animali" recentemente sono cascate in una trappola tesa loro dai mitomani che se non fossero pericolosi farebbero anche ridere (sono emerse storie che superano sceneggiature di commedie grottesche).
Hanno detto che abbiamo abbattuto alberi, sterminato colonie di uccelli, spianato dune incontaminate, costruito eliporti (eliporti!!!!!), disorientato fenicotteri, prosciugato stagni, gettato napalm sulle piantagioni di canna da zucchero del sud-est asiatico, trivellato il mare, assoldato mercenari, mostrato ascelle a gente che non gradisce certe sconcerie (soprattutto non gradisce la ascelle), sudato troppo, goduto troppo, ballato troppo, cantato troppo, disturbando sia Don Camillo che Peppone".
Davanti alle accuse ricevute Jovanotti racconta di essersi sempre confrontato con il Wwf e di aver ottenuto risposte per andare avanti. "C'era una criticità (non accertata pienamente, diciamo un rischio di criticità) sulla spiaggia di Ladispoli e ci siamo spostati. Le altre spiagge dove JOVA BEACH Party ha portato gioia, messaggi seri sui comportanti adottabili da subito per ridurre il proprio impatto ambientale, amore, cultura, economia, goduria, coraggio, spirito avventuroso e originalità sono tutte spiagge dove ci vanno le persone per tutto l'anno e tutta l'estate, luoghi popolari, spesso affollati. Ci siamo presi cura di ogni aspetto legato alla tutela dell'ambiente investendo più delle risorse disponibili, e ci siamo sottratti alla spocchia pelosa di molti farabutti che dietro alla maschera dell'ambientalismo nascondono ansia di protagonismo quando non disonesta ricerca di incarichi ben pagati con denaro pubblico o donazioni di gente raggirata con false immagini a effetto, ripeto: false, taroccate, inventate, decontestualizzate, drammatizzate ad arte. Pensate che in una spiaggia una delle tante denunce preventive che abbiamo avuto sosteneva che avremmo danneggiato una specie floreale e allegava foto specifiche che poi si sono rivelate essere fiori che crescono nel sud del Pacifico, fiori che nel mediterraneo non esistono neanche dal fioraio. Hanno detto bugie a raffica, ogni giorno taggando me per sbracciarsi nella folla dei social per un follower in più".
Infine, chiosa ricordando che l'ecologia non è fatta per i faziosi. "Il JBP non si mette maschere, è tutto alla luce del sole, siamo stati costantemente controllati, monitorati dalle autorità che giustamente verificano ogni singolo dettaglio. Jova Beach Party parla di comportamenti da adottare con l'obiettivo di ridurre l'impatto ambientale a centinaia di migliaia di persone intelligenti, aperte, evolute, e non lo fa via Twitter ma sul posto, e lo fa senza puntare il dito per darsi delle arie, lo fa senza infondere assurdi sensi di colpa a una generazione che deve trovare entusiasmo nell'idea di cambiamento e di progresso e non imbattersi in cupi pseudo amanti della natura buoni sono ad inquinare il web con le loro cazzate e anatemi.
L'ecologia è una scienza, se si trasforma in terreno di scontro di tifoserie è un danno per tutti, non si tratta di giocare a discutere se la terra è piatta o se l'aglio scaccia i vampiri ma di scienza, comportamenti, tecnologia, obiettivi a breve e lungo termine, politiche locali, nazionali e internazionali, studio, ricerca, ispirazione, competenza, risorse, investimenti, impegno, analisi seria dello stato delle cose, senza panico e con voglia di collaborare. Ciao a tutti".
A Jovanotti hanno replicato sia Legambiente, sia l'Enpa. "Non abbiamo criticato il Jova Beach Party, noi abbiamo fatto rilievi puntuali su tre tappe: quella in provincia di Ferrara, sulla tappa di Policoro in Basilicata e di Roccella Jonica in Calabria, nella prima c'era un problema sulla presenza del fratino, sulle altre due di nidificazione delle tartarughe Caretta caretta. Così come si è trovata un'altra soluzione a Ladispoli, si poteva trovare un'altra localizzazione anche in queste altre località", ha detto il presidente di Legambiente Stefano Ciafani.
"Jovanotti ha diritto di chiamare in causa chi crede ma è anche vero che se uno pensa di fare dei concerti, che per fortuna sua sono così affollati, in un'ecosistema fragile non può aspettarsi che stiamo lì a guardare - la replica di Carla Rocchi, presidente dell'Enpa - Lui fa giustamente la sua iniziativa, noi facciamo le nostre osservazioni. Mi domando se il diritto di critica è abolito? Tutti sono criticabili e quindi anche lui, nessuno casca nelle trappole. Lui ci ha criticati, io ho diritto di criticare lui", conclude.
La Repubblica - Fonte: La Repubblica - Data: 02 Settembre 2019 - Autore: Giacomo Talignani
Ben Lecomte
Il Pacifico a nuoto per salvare il pianeta
"I want people to understand that the solution is in everybody's hands.
It's true when people say, we don't need one person to do it perfectly, we need millions to do it imperfectly"
Desidero che le persone capiscano che la soluzione è nelle mani di ciascuno.
E' vero quando si dice, non abbiamo bisogno di una persona che lo faccia alla perfezione, abbiamo bisogno di milioni di persone che lo facciano in maniera imperfetta
Fonte: Ben Lecomte
"Sono un padre e come padre mi preoccupa il futuro dei miei figli.
Il nostro stile di vita non è più sostenibile.
Tutti noi possiamo fare la differenza se ci rendiamo conto di quanto possiamo essere migliori nel custodire il nostro ambiente.
Per questo vorrei richiamare l'attenzione delle persone in tutto il mondo e far capire che la soluzione è nelle nostre mani e che dobbiamo agire subito."
Fonte: La Repubblica - Data: 10 Ottobre 2016 - Autore: Giacomo Talignani
L’astronauta italiano durante la sua prima conferenza stampa dalla stazione spaziale: “Rispetto a sei anni fa i deserti sono avanzati e i ghiacci si sono ritirati”
Antonio Lo Campo 29 Luglio 2019
«Andare sulla Luna? E' un sogno, certo che mi piacerebbe andarci. Si prevedono i primi sbarchi del ritorno alla Luna nel 2025. Anche come età potrei ancora fare in tempo...». Luca Parmitano parla dall'orbita terrestre, a circa 400 chilometri dalla Terra. Ha 43 anni e quindi ha ancora diversi anni di carriera davanti a sé come astronauta. La partenza della sua missione sulla Sojuz MS 13 è avvenuta lo scorso 20 luglio, proprio nel 50° anniversario del primo sbarco lunare. E ha dato il nome “Beyond” (“Oltre”) alla sua missione che, come appare dallo stemma, guarda al futuro oltre l'orbita terrestre, a Luna e Marte.
AstroLuca (questo il suo nome twitter) ha tenuto oggi pomeriggio la prima conferenza stampa dallo spazio. Ci ha parlato in collegamento con il Museo della Scienza e della Tecnica di Milano, dapprima in posizione verticale, e poi, per tenersi più comodo poggiando i piedi su un mancorrente, in orizzontale: «Vi piace questa posizione?» ha detto scherzando Luca a giornalisti e rappresentanti dell'Agenzia Spaziale Europea (di cui fa parte come astronauta) e dell'Aeronautica Militare Italiana (di cui è tenente colonnello).
«E' la prima settimana in orbita - ha detto Luca che tornerà sulla Terra il prossimo febbraio - e l'attività è già intensa. Come ad esempio scaricare quintali e quintali di materiali dal cargo automatico che ci ha raggiunto da poco».
«E poi c'è l'attività scientifica - aggiunge l'astronauta catanese - Per darvi un'idea, un altro astronauta ora, nell'altro modulo, sta lavorando ad un processo 3D di ricostruzione di tessuti biologici».
«Avremo molto da fare. Lavoreremo su almeno 250 esperimenti scientifici, molti dei quali europei, e sei dei quali italiani con il coordinamento dell'Agenzia Spaziale Italiana - dice l'astronauta italiano dell'Esa - I settori? Soprattutto studi e test sul sistema neurologico e neuro-vestibolare».
«Come ho trovato la Terra dopo sei anni? Meno bene, di sicuro. Ai miei occhi c'è stato un peggioramento causato dal riscaldamento globale del pianeta Terra. Dalla Stazione Spaziale ne noti i dettagli e i risultati scientifici lo confermano. Deserti che avanzano, ghiacci che si sciolgono… è un problema cui va posto rimedio quanto prima. E chi guida le nostre nazioni deve fare di tutto se non per invertire questa situazione, quanto meno per rallentarla».
Le domande per Luca Parmitano sono molte. La “finestra” è di soli venti minuti, per il passaggio orbitale tramite collegamento via satellite, ma Luca risponde un po' a tutti, anche a domande divertenti: «Una freddura o barzelletta qui a bordo? Con tutto il materiale trasportato dal cargo Dragon, e tutto ciò che già si trova sulla Iss, diciamo che “qua nello spazio non abbiamo spazio”».
Nella seconda parte della sua missione di sette mesi, Luca diventerà il comandante della Iss. Primo italiano e solo terzo europeo: «Il mio ruolo, da fine settembre, sarà di coordinare e facilitare il più possibile l'intenso lavoro a bordo» dice.
Passeggiate spaziali? «Ne è prevista una a breve - dice – che non effettuerò io ma altri due astronauti che io aiuterò nella vestizione degli scafandri e nelle attività preparatorie prima dell'uscita. Ma nei 203 giorni vi sarà molto da fare, e potrei effettuarne alcune in seguito, e spero di effettuarle».
Il grande apparato scientifico Ams-02 infatti, per studi di cosmologia, montato all'esterno della Iss, richiede manutenzione e diverse attività extraveicolari, e potrebbe essere questo uno dei compiti di Parmitano per possibili uscite esterne alla stazione.
E poi, una risposta che sembra quasi una richiesta: «Appena sono tornato in orbita e sulla stazione, non ho avuto problemi. Mi sono sentito persino meglio rispetto alla missione del 2013. Sto bene, e mi sto di nuovo divertendo a “giocare” con l'assenza di peso. L'unica cosa che mi manca è un buon caffè...».
La Stampa.it - Fonte: La Stampa - Data: 29 Luglio 2019 - Autore: Antonio Lo Campo
E' già dentro di noi: Micro e nano plastiche sono nel nostro organismo. Ma gli studi sono agli inizi e non si conoscono ancora i risvolti per la nostra salute.
Le hanno trovate sull'Everest, ai Poli e negli abissi della Fossa delle Marianne. Sono nei terreni, nelle falde acquifere e nell'aria. E con le missioni Apollo sono giunte persino sulla Luna. Ma le plastiche sono arrivate anche in un luogo molto più vicino, che forse dovrebbe preoccuparci di più: il nostro corpo. Vari studi, infatti, hanno mostrato la presenza di plastiche nel sangue, nelle urine, nelle feci. Una ricerca su Environmental Science & Technology ha calcolato che, nella loro dieta, gli americani assumono fino a 52mila particelle di microplastica all'anno: 150 al giorno. «Ed è una stima drasticamente per difetto» avverte Kieran Cox dell'Università di Victoria (Canada).
C'era da aspettarselo: in quasi 70 anni la plastica ha contaminato ogni angolo del Pianeta. E non ha risparmiato l'uomo: frammenti microscopici di plastica hanno contaminato i pesci e altri cibi di cui ci nutriamo, l'acqua che beviamo, l'aria che respiriamo. Con quali effetti? La risposta è disarmante: non si sa.
Infatti, nonostante la contaminazione planetaria, gli studi riguardanti l'impatto delle plastiche sulla nostra salute sono iniziati da poco tempo e non hanno raggiunto conclusioni inequivocabili. Tanto che quest'anno i 26 migliori scienziati del Sapea (Science Advice for Policy by European Academies), l'organo di consulenza scientifica della Commissione europea, ha pubblicato un report sulle microplastiche che, pur riconoscendo il problema, conclude che «si sa ancora poco riguardo ai rischi per la salute umana di nano e microplastiche, e ciò che è noto è circondato da notevole incterezza. Prima di trarre conclusioni attendibili sui reali rischi per l'uomo, è necessario fare studi accurati sulle diverse combinazioni di nano e microplastiche e i loro effetti. Per il momento non abbiamo le prove di un rischio diffuso per la salute umana: i dati non ci permettono di concludere con sufficiente certezza se il rischio sia presente o assente in natura. Ci vorrà tempo prima che si arrivi a conclusioni più affidabili». Dunque, la "pistola fumante" non c'è. Almeno per ora. Ma la comunità scientifica mondiale è mobilitata.
ARRIVANO OVUNQUE
Per molto tempo l'impatto della plastica sulla salute non ha sollevato particolari preoccupazioni. La plastica, infatti, era considerata un materiale inerte, come un sassolino o una vite di metallo: se ingerita, sarebbe espulsa così com'è. Negli ultimi decenni, però, si è fatta luce sul processo di degradazione che le plastiche subiscono nell'ambiente: quando sono esposte al calore, alla luce, all'acqua, all'attrito dell'aria e di altri oggetti, le particelle di plastica si sminuzzano fino a raggiungere dimensioni inferiori ai 5 mm (le microplastiche) o a 0,1 micron (millesimo di mm: le nanoplastiche).
A queste dimensioni, le plastiche non creano problemi di soffocamento o di ostruzione gastrointestinale agli organismi marini. Che però in questo modo le assorbono, ed entrano nella nostra catena alimentare quando mangiamo un piatto di cozze o gli spaghetti allo scoglio. E, una volta ingerite, le microplastiche possono arrivare ovunque, attraversando le barriere dei tessuti: nel sangue, nei linfonodi, perfino nel fegato e nelle milza. E lo stesso vale per le impercettibili dosi rilevate in molte acque imbottigliate nel Pet, o in diversi formaggi e salumi conservati nelle pellicole in Pvc. Ma non è tutto: «Le plastiche che arrivano nei terreni e nelle falde acquifere vengono assorbite dai vegetali: sono state trovate non solo nell'acqua minerale, ma anche nella polpa di frutta e verdura», dice Margherita Ferrante, responsabile del Laboratorio di Igiene Ambientale e degli Alimenti dell'Università di Catania.
UNA FAMIGLIA NUMEROSA
Con quali effetti? Lo studio sull'impatto delle micro e nanoplastiche sul nostro organismo è complicato. Non solo perchè «mancano dati globali sulla concentrazione di queste sostanze nei diversi ambienti naturali», sottolinea il report Sapea. Ma anche perchè le plastiche sono una famiglia di sostanze molto diverse fra loro: ne esistono più di 90 tipi, e ciascuno può avere migliaia di varianti a seconda degli additivi con cui sono prodotte. Alla plastica, infatti, sono aggiunte sostanze vetrificanti, coloranti, ignifughe, indurenti. «E spesso non si sa quali siano questi additivi, che in molti casi sono un segreto industriale gelosamente custodito», sottolinea il report Plastic&healt del Center for International Environmental Law (Ciel). «Molti di questi additivi, comunque, sono già noti per essere tossici, cancerogeni o interferenti endocrini»: possono, cioè, influire sugli ormoni che regolano lo sviluppo, il comportamento, la fertilità. Gli esempi? Dal bisfenolo A agli ftalati, fino ai ritardanti di fiamma polibromurati. Queste sostanze potrebbero causare infiammazioni stress ossidativi, che sono spesso l'anticamera di cancro, malattie cardiache e degenerative.
Ma attenzione, avvertono gli esperti del Sapea: «Oltre a non conoscere l'esatta composizione di queste sostanze, non sappiamo neppure qual è la dose giornaliera di plastiche che assumiamo: e questa conoscenza è essenziale per stimare gli effetti sulla salute. Come avviene per molti altri composti chimici, è la dose che fa il veleno». Ecco perchè è urgente avviare studi rigorosi con criteri condivisi dalla comunità scientifica.
MEGLIO ESSESE CAUTI
Un aiuto potrebbe arrivare dall'Italia: il Laboratorio di Catania ha brevettato il primo sistema al mondo per quantificare la presenza di micro e nano plastiche in acque, alimenti (verdura, frutta, pesci) e tessuti umani in vitro, cioè in provetta, senza bisogno di prelievi di campioni biologici su persone. «In autunno inizieremo gli studi col Cnr», dice la professoressa Ferrante.
Che fare, allora, in attesa che arrivino dati certi? «Data la natura ubiquitaria di queste particelle, deve considerarsi una priorità lo studio per capire e prevenire rischi per la salute», avverte il rapporto Ciel. «Finchè non avremo compreso la natura completa dei rischi, è necessario un approccio cautelativo per ridurre l'ingestione. La produzione sempre più elevata e l'uso sempre più pervasivo di questi contaminanti dovrebbero essere visti come elementi significativi di preoccupazione per la salute pubblica. Occorre un'azione globale per ridurre la produzione e il consumo di plastica».
Anche perchè, avvertono gli scienziati del Sapea, «se il rilascio di plastica nell'ambiente continuerà a questo ritmo, il rischio ecologico diventerà globale nel giro di un secolo».
Focus.it - Fonte: Focus n. 322 - Data: 18 Luglio 2019
Un report dell’associazione ambientalista punta il dito sugli amministratori locali che, secondo quanto emerso dal resoconto dei Carabinieri, avrebbero dovuto intervenire già nel 2009.
Le provincie di Vicenza, Padova e Verona avrebbero potuto fermare l’inquinamento da PFAS prodotto dall’impianto dell’azienda agricola Miteni già a metà degli anni 2000: a sostenere l’accusa è il rapporto “Le verità sul caso PFAS: come la popolazione veneta è stata condannata ad anni di grave inquinamento” pubblicato oggi da Greenpeace.
Il rapporto è stato stilato sulla base delle annotazioni del NOE (Nucleo Operativo Ecologico dei Carabinieri) a margine del procedimento penale per accertare le responsabilità riguardo l’inquinamento da sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) delle falde acquifere nelle province di Vicenza, Padova e Verona.
Secondo quanto riportato nel report di Greenpeace, tra il 2003 e il 2009, il progetto GIADA avrebbe segnalato notevoli incrementi di concentrazione di BTF (Benzotrifluoruri) nelle falde acquifere tra Trissino e Montecchio Maggiore. La provincia di Vicenza, quindi, avrebbe dovuto chiedere verifiche approfondite sullo stabilimento di Miteni, ma, secondo il NOE, tali atti non sarebbero mai stati formalmente inoltrati all’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente del Veneto (ARPAV).
D’altra parte, tuttavia, la documentazione del NOE rivela che la stessa ARPAV avrebbe potuto far emergere l’inquinamento già nel 2006, quando tecnici dell’agenzia regionale intervennero presso la barriera idraulica istallata nel sito di Miteni. Anche in quell’occasione, però, non venne attivata nessuna iniziativa di bonifica.
Il ruolo dell’ARPAV risulta essere tra i meno chiari nella vicenda: nel testo redatto dal NOE, gli stessi investigatori dei Carabinieri sottolineano la “volontà dei tecnici ARPAV di non voler far emergere tale situazione”.
Dal punto di vista di Greenpeace, lascia diversi dubbi anche la scelta della Procura di Vicenza di fissare al 2013 il termine ultimo di commissione dei reati: dalla relazione del NOE risulterebbe che i vertici di Miteni, IGIC e Mitsubishi Corporation potrebbero aver commesso reati almeno fino al 2016.
“Quanto emerge dal documento del NOE è gravissimo ma non ci risultano ulteriori filoni di indagine aperti dalla Procura di Vicenza a carico degli enti pubblici coinvolti– ha dichiarato Giuseppe Ungherese, Responsabile Campagna Inquinamento di Greenpeace Italia – Ci auguriamo che la Procura agisca in fretta per definire un quadro chiaro ed esaustivo delle responsabilità e dei responsabili“.
La sedicenne svedese Greta Thunberg, promotrice delle marce dei giovani per il clima in tutta Europa, è stata nominata donna dell'anno nel suo Paese, in base a un sondaggio dell'istituto Inzio per il giornale Aftonbladet.
Greta è stata la più citata davanti alla leader dei cristiano-democratici Ebba Busch e alla principessa Victoria. "Wow! E' incredibile", ha commentato la giovane citata dal quotidiano svedese.
Dall'agosto 2018 Greta Thunberg organizza ogni venerdì uno sciopero scolastico per il clima, seguito in diversi Paesi europei. Venerdì 15 marzo è prevista una mobilitazione mondiale in 75 Paesi. Anche un altro giornale svedese, Expressen, ha nominato Greta donna dell'anno ma per decisione di una giuria.
Sarebbe stato un mix di prodotti chimici per la casa a causare l'intossicazione di una famiglia di 4 persone, tra le quali un bambino di 15 mesi, nella tarda serata di ieri a Empoli (Firenze).
Contrariamente a quanto appreso in un primo momento solo un uomo di 72 anni è stato accompagnato all'ospedale dov'è stato trattenuto fino a stamani per precauzione. Il bambino e i genitori sono invece stati curati sul posto dai sanitari del 118.
Secondo quanto ricostruito dai vigili del fuoco la famiglia, intorno alle 22.30, è rientrata nell'abitazione e subito tutti hanno avvertito un odore forte e acre e accusando bruciore alla gola e agli occhi.
Le esalazioni delle sostanze chimiche, sembra quelle usate abitualmente per pulire, mischiate tra loro, con il passare delle ore mentre la famiglia era fuori avevano saturato l'aria nelle stanze.
IL MESSAGGERO
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L’UE mette fuori commercio i detersivi con EDC perché nocivi per il sistema ormonale umano. L’allarme della Commissione Europea riguarda saponi e detergenti
Allarme saponi: detersivi con Edc ritirati dal mercato. L’appello dell’UE
La Commissione Europea ha deciso di ritirare dal mercato tutti i prodotti EDC che contengono sostanze nocive per l’organismo umano. Il divieto della Commissione europea è arrivato dopo un lungo processo iniziato il 7 giugno dell’anno scorso quando è stato deciso che i nuovi disinfettanti e detergenti dovevano essere prodotti senza l’ausilio di biocidi. L’ultima tappa di questo lungo processo ha sancito definitivamente la rimozione di tutti i prodotti che contengono Edc dal mercato
Detersivi con EDC: arriva lo stop dall’UE. Detergenti con EDC nocivi - Cosa sono gli EDC?
Gli Edc o Endocrine disrupting chemicals sono delle sostanze chimiche nocive per l’organismo umano. Più nello specifico, in questa categoria rientrano saponi degli shampoo o dei bagnoschiuma, detersivi per la casa e spray antizanzare. Tra i più diffusi e pericolosi per la salute umana ricordiamo i parabeni, gli ftalati il triclosano e il bisfenolo A.
Detersivi addio: saponi nocivi pericolosi per la salute perchè contengono EDC– CAUSE
Queste sostanze nocive contenute nei prodotti per la detersione del corpo o per pulire la casa hanno conseguenze devastanti sull’apparato ormonale e sul fegato. Tra le malattie più comuni causate da una costante esposizione agli Edc rientrano molti tipi di malattie cardiovascolari e il diabete. Inoltre, poiché agiscono sull’apparato endocrino possono causare disfunzioni del funzionamento tiroideo o uno sviluppo sessuale anomalo come la pubertà anticipata. Anche l’obesità e l’aumento del tessuto adiposo possono essere associati all’eccessiva esposizione a detergenti e saponi con Edc.
Detersivi ritirati dal commercio. Come evitare detersivi con EDC e saponi pericolosi
Anche se nessuna azienda potrà più mettere in commercio prodotti che non rispondono alle linee guida sancite dalla Commissione Ue, è bene tenere a mente e ripetere alcuni rituali quotidiani che possono limitare il rischio di venire a contatto con sostanze chimiche nocive per il nostro organismo. Gli esperti consigliano di lavare frutta e verdura per rimuovere eventuali pesticidi contenuti all’interno; fare sempre attenzione alle etichette dei prodotti per la pulizia della casa, evitare prodotti per il corpo con sostanze chimiche pericolose; evitare di cucinare utilizzando utensili in plastica e fare arieggiare a lungo gli ambienti quando si spruzzano gli insetticidi.
È pronta a salpare la prima rivoluzionaria macchina per pulire gli oceani dalla plastica. La macchina sarà diretta verso il Pacific Trash Vortex dove comincerà a raccogliere tonnellate di rifiuti plastici accumulati dalle correnti oceaniche.
La visione di Boyan Slat è diventata realtà. Sono passati cinque anni da quando Slat, appena diciannovenne, ha lasciato gli studi in ingegneria aerospaziale per dedicarsi alla sua missione, pulire gli oceani dalla plastica. Il ragazzo prodigio olandese ha fondato la ong Ocean Cleanup e ha progettato una macchina per raccogliere rifiuti plastici dal mare sfruttando le correnti oceaniche. Dopo uno studio di fattibilità e una campagna di raccolta fondi di successo, il macchinario chiamato Ocean Array Cleanup è pronto per essere testato sul campo. Entro poche settimane l’Ocean Array Cleanup salperà da San Francisco diretto verso il Pacific Trash Vortex, la grande isola di plastica che galleggia nell’oceano Pacifico, tra la California e le Hawaii. “La pulizia degli oceani del mondo è dietro l’angolo”, ha commentato euforico Slat.
Come funziona l’Ocean Array Cleanup
L’idea alla base dell’Ocean Array Cleanup è semplice e geniale, la macchina sfrutta le correnti del mare, le stesse che hanno portato alla creazione dell’isola di plastica, per far sì che i rifiuti di plastica si accumulino nelle piattaforme e il mare si pulisca “da solo”. Il sistema è composto da una catena di barriere galleggianti della lunghezza di due chilometri e poste in favore di corrente, senza reti, che convogliano la plastica verso piattaforme che fungono da imbuto. Una volta al mese circa una barca andrà a raccogliere i rifiuti convogliati verso la parte centrale della macchina.
Dimezzare l’isola di plastica
L’obiettivo di Boyan Slat è di raccogliere circa 5mila chili di plastica durante il primo mese di funzionamento e di smaltire entro cinque anni almeno la metà del Pacific Trash Vortex. L’impatto ambientale del macchinario sarà minimo, sfruttando le correnti non necessita infatti di energia per raccogliere la plastica. L’Ocean Array Cleanup non costituirà un pericolo per gli animali marini, secondo i suoi creatori, che potranno passare sotto le barriere galleggianti.
Solo il primo passo
La prima missione dell’Ocean Array Cleanup rappresenta un test sul campo per valutare il funzionamento della macchina e rilevare eventuali problemi prima di estendere il progetto. Ocean Cleanup ha infatti l’obiettivo di installare sessanta piattaforme galleggianti giganti in varie aree del pianeta entro il 2020.
L’isola di plastica che minaccia gli oceaniIl Pacific Trash Vortex è un colossale accumulo di spazzatura galleggiante, composto perlopiù da plastica, la sua superficie è maggiore di quelle di Francia, Germania e Spagna ed è composto da almeno 79mila tonnellate di plastica. “La maggior parte dei detriti è di grandi
dimensioni – ha affermato Boyan Slat. – Si tratta di una bomba ad orologeria perché tutti questi grandi oggetti si trasformeranno in microdetriti nelle prossime decadi se non agiamo”. La grande isola di plastica è costituita soprattutto da attrezzi da pesca abbandonati, come reti e corde, e ogni anno provoca la morte di migliaia di balene, delfini e foche.
Pulizia e prevenzione
La Ocean Cleanup prevede di autofinanziarsi grazie alla vendita della plastica oceanica che alcuni brand, come Adidas, hanno iniziato a sfruttare comprendendone l’appeal sui consumatori. La pulizia degli oceani, per quanto efficace, da sola non può però bastare, è necessario combattere alla fonte l’inquinamento che sta lentamente uccidendo i mari del mondo con gravi ricadute anche sulla nostra specie. “Dobbiamo pulire, ma dobbiamo anche prevenire che la plastica entri negli oceani. Meglio riciclare, meglio usare questi materiali in creazioni di design e regolamentare questi rifiuti. Abbiamo bisogno di combinare queste soluzioni”, ha dichiarato Boyan Slat.
LORENZO BRENNA - Lifegate
A sostenerlo uno studio norvegese. Effettuare regolarmente operazioni di pulizia con spray a lungo termine può provocare una riduzione della funzione respiratoria paragonabile a quella causata dal tabagismo.
NON IMPORTA che sia per lavoro o tra le mura domestiche. L’esposizione alle sostanze contenute in spray detergenti e altri prodotti per le pulizie potrebbe potrebbe, anno dopo anno, provocare danni piuttosto consistenti alle vie aeree e ai polmoni. A dimostrarlo è uno studio norvegese dell'Università di Bergen che sulle pagine dell'American Journal of Respiratory and Critical Care Medicine racconta come le donne – nel campione studiato molto più rappresentate degli uomini – che usano regolarmente questi detergenti sembrerebbero sperimentare nel tempo un declino accelerato della funzionalità polmonare rispetto a quelle che non svolgono alcuna attività di pulizia. Un declino, spiegano i ricercatori, paragonabile a quello di un tabagista che fuma circa 20 sigarette al giorno, ma con un effetto minore.
LO STUDIO
“Fumo, infezioni respiratorie, invecchiamento e inquinamento dell'aria non sono gli unici nemici dei polmoni. Anche l'attività lavorativa e le abitudini domestiche possono accelerare il declino della funzione polmonare”, spiega Mario Olivieri, medico del lavoro, pneumologo e allergologo dell'Azienda ospedaliera universitaria integrata di Verona, tra i firmatari dello studio. “L'utilizzo di prodotti per le pulizie usati sia dai lavoratori del settore che dalle casalinghe può costituire un rischio per la salute respiratoria”. Per capirlo, i ricercatori hanno analizzato i dati provenienti dall'European Community Respiratory Health Survey, che ha coinvolto 22 centri europei per un totale di
6.235 partecipanti, che avevano un età media di 34 anni all'inizio della ricerca, e che sono stati poi seguiti nel corso di più di 20 anni.
Mediante uno specifico questionario veniva chiesta loro la frequenza (giornaliera, settimanale) di utilizzo delle varie categorie di prodotti e le caratteristiche del prodotto, se liquido o spray o in polvere, anche in base alla finalità di impiego (ceramiche dei sanitari, pavimenti, vetri, mobili). Per valutare la funzionalità polmonare, i ricercatori si sono concentrati principalmente su due parametri: il volume espiratorio forzato al primo secondo (Fev1), ossia la quantità massima d'aria che una persona può espirare con forza in un secondo, e la capacità totale forzata (Fvc), ovvero il volume d'aria che può essere espirato con uno sforzo massimo, dopo una piena ispirazione.
I RISULTATI
“Entrambi questi parametri si riducono maggiormente nei lavoratori addetti alle pulizie e nelle casalinghe che accudiscono la casa rispetto a chi non lavora con queste mansioni o non è dedito a pulire la casa e sono espressione di un danno sia a carico delle vie aeree che del polmone, dove l'aria viene immagazzinata”, precisa Olivieri. Dalle analisi è emerso, infatti, che, rispetto alle donne che non si dedicano alle attività di pulizia, il Fev1 era diminuito più rapidamente di 3,6 millilitri/anno nelle donne che pulivano la propria casa e di 3,9 ml/anno nelle donne che lo facevano per lavoro. Mentre, per quanto riguarda la Fvc, questa era diminuita di 4,3 ml/anno più velocemente nelle
donne che pulivano a casa e di 7,1 ml/anno per quelle al lavoro. I risultati, quindi, dimostrano che il declino della funzione polmonare è accelerato soprattutto nelle donne che lavorano come addette alle pulizie, e sarebbe paragonabile, aggiungono i ricercatori “a quella di una persona che fuma circa 20 sigarette al giorno”. Lo studio ha mostrato, inoltre, che l'asma era più diffuso nelle donne che pulivano a casa (12,3%) o al lavoro (13,7%) rispetto a chi non svolgeva alcuna attività di pulizia (9,6%).
I CONSIGLI
L'entità del maggior declino polmonare può divenire nel tempo sempre più evidente e portare, se si trascurano delle semplici norme di prevenzione o nel caso coesistano cattive abitudini come il fumo, anche a problemi per la salute. “L'insieme di questi agenti provoca il danno delle vie aeree e dei polmoni mediante vari meccanismi quali l'irritazione a carico delle vie aeree, un danno ossidativo a livello polmonare, infiammazione o sensibilizzazione (nei soggetti suscettibili)”, continua Olivieri, suggerendo alcuni semplici accorgimenti da poter seguire, tra cui: evitare di mescolare tra loro i diversi prodotti, ridurre l'uso di prodotti a base di candeggina e di prodotti che
inducano già al primo impiego "disturbi" alle vie aeree superiori. E ancora: areare gli ambienti durante il loro impiego ed evitare i prodotti spray. Nel caso in cui questi ultimi non si possano sostituire, spruzzare il prodotto direttamente sul panno che verrà usato per la pulizia.
MARTA MUSSO - Repubblica