Dyva Italia - Rassegna Stampa (27)
Covid, Zingaretti:"Virus è un 'bastardo', si rifugia nelle case"
Fonte: www.ansa.it - Data: 06 novembre 2020
Quella del virus è ormai una lotta senza tregua, che non si ferma nei laboratori di ricerca ma, anzi, viaggia in parallelo tra case, persone e sulle strade cittadine. E una delle armi più utilizzate è sicuramente l’igienizzante, gel o alcol, diluiti al punto giusto. Una lotta che però rischia di prenderci la mano, a partire da quella degli amministratori che da qualche tempo spruzzano disinfettanti su strade o mercati. Pratica che può rivelarsi non solo inutile, ma dannosa per la nostra salute, come recentemente ha denunciato l’Organizzazione mondiale della sanità, dichiarando che questa azione “non è indicata per uccidere Sars-Cov-2 o altri agenti patogeni perché il disinfettante è inattivato dallo sporco e dai detriti” presenti in gran quantità su queste superfici e “non è possibile pulirle manualmente e rimuovere tutto il materiale organico”. Sempre per l’Oms, “spruzzare su superfici porose, come marciapiedi e passerelle non pavimentate, sarebbe ancora meno efficace”. Anche perché “le strade e i marciapiedi non sono considerati serbatoi di infezione per Covid-19”. Quindi, tanta fatica per nulla? La dichiarazione dell’Oms pone più di un dubbio su tutte le varie pratiche igieniche a base di ipoclorito e alcol che vengono usati sulle superfici dei luoghi chiusi pubblici o privati, negozi, palestre, case.
Ci sarebbe da fare una prima distinzione, quella tra sanificazione e disinfezione. Si fa grande confusione con questi termini, mentre “presentano sostanziali differenze”, afferma lo pneumologo Antonino Mangiacavallo (già Sottosegretario di Stato alla Sanità, è stato Presidente della Federazione italiana contro le malattie polmonari sociali). “Per sanificazione si intende l’insieme di operazioni mirate a rendere sano un ambiente, con l’eliminazione di qualsiasi agente contaminante, e a mantenere una buona qualità dell’aria”. Un’operazione effettuata con prodotti chimici che richiede attrezzature adeguate e specifiche competenze professionali. Con risultati immediati ma che non durano a lungo.
Quando si parla di disinfezione ci si riferisce invece all’intervento “che mira a distruggere o inattivare gli agenti patogeni attraverso l’utilizzo di disinfettanti, che possono essere di natura chimica o fisica. Non riesce a eliminare completamente la carica microbica ma ne riduce sensibilmente la quantità”, sottolinea Mangiacavallo.
La pulizia è d’obbligo
Dietro a questa serie di attività distinte, sfugge a volte un’altra operazione che, se non rispettata, rende inutile tutto il resto. È l’attività di pulizia. Con l’uso di acqua e/o sostanze detergenti si effettua una rimozione fisica o meccanica della sporcizia da qualsiasi superficie, strumento o ambiente. “La pulizia è da considerare una procedura indispensabile prima di procedere alla disinfezione o alla sanificazione perché se gli elementi contenuti nello ‘sporco’ non vengono rimossi potrebbero ridurne l’efficacia”, precisa l’esperto.
Regna molta confusione anche quando si parla di detergenti, igienizzanti e prodotti destinati alla disinfezione, definiti comunemente disinfettanti. “Mentre per detergenti e igienizzanti non è prevista alcuna autorizzazione per l’immissione in commercio, anche se devono rispettare la normativa sui detergenti, per i disinfettanti è previsto che siano prima esaminati dall’Istituto superiore di sanità e poi autorizzati dalle competenti autorità nazionali ed europee. I prodotti disinfettanti, che hanno azione su batteri, virus e funghi riportano in scheda tecnica la destinazione d’uso in base all’efficacia riconosciuta, e se l’etichetta riporta la dicitura ‘destinato ad utilizzi professionali’”, prosegue Mangiacavallo, “devono essere usati da persone che abbiano adeguata formazione e competenza specifica”.
Che cosa contengono
Se proviamo a osservare detergenti o spray igienizzanti dal punto di vista chimico, sarebbe d’obbligo porsi alcune domande sulle possibili controindicazioni per la nostra salute. Con che cosa abbiamo a che fare in concreto? Parliamo di alcol, sali di ammonio, perossido di idrogeno o acqua ossigenata, il sodio ipoclorito – la candeggina – e altri principi attivi. “Si possono produrre effetti collaterali, come la comparsa di ipersensibilità, che può determinare irritazione, arrossamento della cute, prurito e altri sintomi”, afferma Mangiacavallo. E se da un alto dobbiamo avere particolari attenzioni su dove conservare questi prodotti – più lontani possibile dalla portata dei bambini per evitare conseguenze spiacevoli – “è consigliabile evitare di mescolare prodotti di vario tipo nella speranza di ottenere sostanze più attive ed efficaci”. Per contro, gli ormai diffusi gel per le mani a base di alcol sembrano più innocui, “perché l’alcol a contatto con l’aria tende subito a evaporare, anche se è da ricordare che il frequente e adeguato lavaggio delle mani può sostituire totalmente l’utilizzo di questi prodotti”, chiarisce l’esperto.
Il presidente dell'Istituto Superiore di Sanità (Iss): "L'eccesso di disinfettanti arriva negli scarichi ed entra in un ciclo"
Istruzioni su come trattare i vari materiali, rimuovendo quelli non facili da pulire come moquette e tappeti, poltrone e sedute di stoffa o con cuscini. Se poltrone e sedute non si possono rimuovere, vanno coperte con teli monouso o lavabili. Ai clienti vanno messi a disposizione guanti e gel
Fonte: messaggero veneto - Data: 25 Maggio 2020 - Autore: Elena del Giudice
La marcata (e spesso erronea) convinzione che il sistema immunitario dei neonati e dei bambini di pochi mesi non si trovi in grado di resistere alla maligna azione prodotta dai batteri che si annidano dentro di casa, ci porta spesso ad anticipare il lieto evento con una scorta di detergenti e detersivi utili a ripulire l’abitazione in ogni recondito angolino e a trasformare la cameretta nel bimbo in una sorta di camera iperbarica privata.
Premesso che i rischi connessi con microbi e batteri che dimorano tra le mura domestiche si trovano ad essere infinitamente minori di quanto l’immaginario collettivo non ritenga, data la naturale tendenza alla loro espulsione presente nel sistema immunitario infantile, non vi è comunque nulla di male nell’opera di pulizia estrema messa in atto dalle neomamme (o dai neopapà ), se non fosse per il fatto che numerosi detersivi e detergenti industriali portano in dote rischi piuttosto ingenti per la salute degli occhi del piccolo.
Se il sistema immunitario infantile è spesso portato a farsi quattro risate di fronte all’attacco di batteri e microbi, la costituzione dell’apparato oculare dei bambini di età compresa tra uno e due anni risulta invece molto più vulnerabile del suo corrispettivo adulto e può facilmente venire sconvolta o alterata dal contatto con solventi, qualora non si mettano in atto le normali precauzioni atte ad impedire l’accesso dei bambini ai prodotti in questione o li si lasci manipolare con troppa nonchalance.
Se la cosa può risultare banale al punto di sembrare ridicola, dato che nessuno sano di mente si sognerebbe mai di lasciare libero accesso ai suoi figli ai prodotti per l’igiene della casa, in una realtà dei fatti che pare infischiarsene di banalità varie, pare invece che la schiera di bambini colpiti da danni irreparabili alla cornea o divenuti addirittura ciechi a causa del contatto con detersivi e detergenti sia sempre più nutrita, al punto da spingere alcuni ricercatori americani a dedicare un apposito studio statistico.
Dato che il compito della scienza èspesso quello di stabilire l’ovvio, un gruppo di ricercatori facenti capo alla Johns Hopkins University Bloomberg School of Public Health di Baltimore si è preso dunque la briga di indagare a fono l’anomalo rapporto che lega i detersivi agli occhi dei bambini, scoprendo un universo sotterraneo piuttosto inquietante.
Lo studio
Basata su evidenze raccolte all’interno dei pronto soccorso e delle strutture pediatriche americane, la ricerca pubblicata sulla rivista di settore Jama Ophtalmology ha preso al vaglio le principali problematiche oculistiche presenti in età infantile e indagato sulle specifiche cause, impiegando i referti clinici in qualità di testimonianze utili ad elaborare una sorta di specifica casistica.
Dall’analisi dei report redatti all’interno delle strutture di riferimento è emerso che la primissima causa di lesioni oculari e cecità riportata durante la fascia d’età compresa tra il primo e il secondo anno di vita risultava proprio da imputarsi a quel contatto, evidentemente poi non tanto banale o accidentale, degli occhi dei bambini coni detergenti che si trovavano malauguratamente troppo alla portata dei bimbi, liberi di scorrazzare dentro casa senza che le normali precauzioni fossero state adottate.
La ricerca condotta prendendo in esame 900 strutture sanitarie americane ha inoltre mostrato come, all’interno della fascia d’età di riferimento, i rischi crescessero in modo esponenziale per i bambini di età compresa tra li 12 e i 18 mesi, per loro natura più portati all’esplorazione degli ambienti domestici e meno propensi a porsi troppe domande di fronte a qualunque cosa attragga la loro attenzione in un dato momento.
A livello squisitamente chimico, la maggior percentuale e la maggiore incidenza dei danni riportati agli occhi dei piccoli è stata provocata da agenti di tipo alcalino, più pericolosi e più persistenti di quelli di tipo acido, rifuggiti al momento dell’acquisto più sulla base di timori legati alla nomenclatura che non sulla base di un reale storico relativo alle bruciature degli occhi.
Valutando infine lo spettro dei danni subiti, a seconda della gravità e della durata del contatto, si è potuta censire una casistica che andava da una serie di disturbi temporanei avvertiti alla cornea, fino a lesioni piuttosto serie localizzate in corrispondenza della retina, andando ad includere numerosi episodi di cecità totale in caso di contatto prolungato con i sopracitati agenti di tipo alcalino.
Come prevenire il fenomeno
La prima ed evidente regola per impedire che vostro figlio si trovi malauguratamente privato delle su facoltà visive a causa di un detersivo per pavimenti consiste nel bandire in modo categorico l’accesso del bambino al prodotto, andando a sincerarci che nemmeno in caso di cataclisma nucleare il bimbo possa mai avere accesso alla confezione incriminata.
Tradotto in una serie di norme squisitamente pratiche, non vi è ragione alcuna per fare affidamento sul fatto che il bambino non si trovi ancora in grado di svitare i tappi o aprire le confezioni, dato che il conseguimento di nuove abilità manuali dopo il primo anno di età è rapido almeno quanto la sequela dei rimpianti che giungono all’indomani del fatidico è troppo tardi e dato che l’apertura di un flacone di candeggina non rappresenta esattamente il terreno ideale per mettere alla prova le abilità euristiche sviluppate dal piccolo genio.
Ricordarsi di riporre sempre i prodotti adibiti alla pulizia della casa in ripiani alti, non raggiungibili nemmeno mediante quelle tecniche di arrampicamento e scalata che denotano il corso della crescita dopo i 18 mesi e di aggiungere ulteriori precauzioni, andando a chiudere gli armadietti con gli appositi security lock presenti in commercio, che dovrebbero garantire la piena tenuta fino al compimento del secondo anno di età, dato che il sistema di chiusura contempla generalmente la coordinazione motoria di entrambe le mani in modo simultaneo e che difficilmente un bimbo al di sotto dei 24 mesi riuscirà nell’intento, anche dopo aver osservato le modalità di esecuzione della pratica.
Gli autori dello studio elaborato dalla John Hopkins University hanno inoltre intenzione di sfruttare i dati ricavati dalla loro ricerca per fare pressione sulle case produttrici di detersivi affinchè introducano composizioni chimiche meno invasive e abrasive e affinchè la componente alcalina del prodotto si trovi ad essere sostituita da ingredienti più naturali e compatibili con un ambiente domestico a prova di bambino.
In caso le aziende produttrici decidano di non prestare orecchio ai moniti universitari e in caso vi siate resi conto che il peggio si è verificato, nonostante l’adozione di ogni precauzione imposta dal buon senso, la prima cosa da fare consiste nel chiamare i soccorsi e nel tamponare l’emergenza andando ad apporre una soluzione di tipo salino (acqua e sale vanno benissimo) sull’occhio del bambino per un tempo minimo di 20 minuti, sfruttando così le proprietà cicatrizzanti del cloruro di sodio per impedire che l’iniziale lesione superficiale si estenda nel bulbo oculare e vada a ledere le zone anatomiche deputate alla corretta visone, vale a dire retina e cornea.
Un ultimo suggerimento: dato che i bambini sono progettati per resistere tranquillamente alla pressione di qualche microbo e batterio, opportuno limitarsi a tenere in casa giusto i prodotti che servono realmente all’opera quotidiana di pulizia, senza munirsi di scorte degne di una camera iperbarica che rischiano di accumularsi e di finire in mano al bambino, costringendolo a rimpiangere quegli innocui germi che gironzolavano per casa tra un’opera di pulizia e l’altra.
Fonte: Emergeilfuturo - Data: 5 Agosto 2016
Presentato esposto in procura a Cagliari, Sassari, Nuoro e Oristano
Prezzi fuori controllo nell'Isola per quanto riguarda i servizi di sanificazione degli ambienti, resi obbligatori dalle disposizioni sulla Fase 2. A denunciarlo è il Codacons, che ha presentato un esposto alle procure di Cagliari, Nuoro, Sassari e Oristano segnalando "speculazioni e truffe a danno sia di esercenti di attività sia dei cittadini".
Le tariffe chieste a imprese, condomini e negozi, secondo l'associazione "arrivano fino 25 euro al metro cubo a fronte di listini attorno a 1,5 euro al metro cubo del periodo pre-Covid. L’obbligo di sanificazione ha poi moltiplicato il numero di aziende che si sono improvvisate 'specializzate' nel campo, e che promuovono interventi di sanificazione pur non essendo dotate di alcuna autorizzazione in tal senso".
Il Codacons chiede l'istituzione di "una task force sul territorio regionale alla luce delle possibili manovre fraudolente e speculative nel settore delle sanificazioni e che realizzano i reati di frode in commercio, truffa aggravata, e pratiche commerciali ingannevoli e scorrette".
Fonte: SardegnaLive - Data: 22 Maggio 2020 - Autore: Redazione Sardegna Live
Abbiamo visto che – secondo la maggior parte degli esperti – la distruzione della biodiversità, l’avanzare dell’urbanizzazione e la globalizzazione potenziano a livelli fin qui inediti un meccanismo ben noto, ovvero quello del salto di specie (“spillover”) da specie selvatiche a uomo di nuovi virus.
È stata anche sollevata, da più parti, l’ipotesi che l’inquinamento dell’aria possa agire tanto come vettore dell’infezione quanto come fattore peggiorativo dell’impatto sanitario della pandemia in corso. Per quanto sia ancora presto per giungere a conclusioni generali, è bene iniziare a fare chiarezza su un altro aspetto, molto importante, della relazione tra epidemie virali e ambiente. O, meglio ancora, tra salute umana e inquinamento/distruzione ambientale.
L’inquinamento come vettore del virus?
Il primo aspetto è relativo all’ipotesi che il particolato fine agisca da “vettore” nel trasportare a più lunga distanza il virus che si coagulerebbe sulla superficie delle particelle (che hanno un diametro almeno una decina di volte superiore a quello del virus). Questa ipotesi, già avanzata in letteratura da tempo su casi specifici, implicherebbe che la diffusione del virus sia facilitata non dallo smog in generale ma dal particolato fine. E che dunque questo effetto si aggiungerebbe alla trasmissione del contagio come nota (da individuo a individuo).
Un “position paper” presentato dal prof Leonardo Setti dell’Università di Bologna ed altri, ha avanzato una correlazione tra i superamenti dei limiti per il PM10 nelle centraline di alcune città e il numero di ricoveri da Covid–19. Si tratta di una correlazione basata su un numero assai limitato di osservazioni, e dunque una ipotesi da verificare, ma il fenomeno alla base – il particolato fine come vettore per altri inquinanti – è noto e provato certamente per altri fattori inquinanti (come per gli IPA, idrocarburi policiclici aromatici). Il documento conclude che “tali analisi sembrano quindi dimostrare che, in relazione al periodo 10-29 febbraio, concentrazioni elevate superiori al limite di PM10 in alcune Province del Nord Italia possano aver esercitato un’azione di boost, cioè di impulso alla diffusione virulenta dell’epidemia in Pianura Padana che non si è osservata in altre zone d’Italia che presentavano casi di contagi nello stesso periodo (…) Si evidenzia come la specificità della velocità di incremento dei casi di contagio che ha interessato in particolare alcune zone del Nord Italia potrebbe essere legata alle condizioni di inquinamento da particolato atmosferico che ha esercitato un’azione di carrier e di boost”.
Fabrizio Bianchi, capo dell’Unità di epidemiologia ambientale e registri di patologia all’Istituto di fisiologia clinica del CNR commenta così: “ho letto con interesse il lavoro di Setti e collaboratori che, partendo dalla plausibilità generale che soggetti esposti cronicamente a inquinamento atmosferico siano più suscettibili all’aggressione di virus, e specificamente di Covid–19, valutano che la velocità di contagio osservata in particolare in nord Italia potrebbe essere legata alle condizioni ambientali. I risultati, basati su correlazione semplice tra livelli di PM10 e numero di casi di Covid–19 per provincia, richiedono di essere confermati e approfonditi mediante un disegno di studio più evoluto che tenga conto anche della disomogeneità territoriale del tempo di propagazione virale; tuttavia concludere con il supporto a favore di misure restrittive di contenimento dell’inquinamento ritengo sia un monito su cui concordare”.
Uno studio del 2017 che analizzava la diffusione dell’influenza stagionale associata alla presenza di particolato fine per la Cina dimostrerebbe che, in quel contesto, un effetto di questo genere esiste, anche se il contributo alla diffusione risultava limitato al 10,7% dei contagi e alle giornate più fredde. Un precedente studio sulla correlazione tra indicatore di inquinamento dell’aria e mortalità da SARS in Cina (2002-2003) mostrava come il rischio di mortalità era amplificato – circa doppio – nelle aree a più alto inquinamento rispetto a quelle con qualità dell’aria migliore.
Inquinamento dell’aria e mortalità in eccesso
Un secondo aspetto da considerare riguarda il fatto che comunque la presenza di elevate concentrazioni di inquinanti in aria è ritenuta responsabile di mortalità in eccesso. L’Agenzia Europea Ambiente (EEA) già da alcuni anni include nel rapporto annuale sulla qualità dell’aria (EEA, Air Quality in Europe, 2019) in cui la mortalità in eccesso è correlata a tre parametri ambientali, il PM2.5, NO2 e O3. L’ultima stima per l’Italia (dati 2016) riporta un totale di 76.200 morti dovuti a questi parametri, la maggior parte (77% circa) legati al particolato fine (PM2.5). Se poi si guarda la mappa dell’EEA sul valore medio di concentrazione di PM2.5 (vedi figura) balza agli occhi la drammaticità della situazione della pianura padana (cosa ben nota a chi si occupa di inquinamento dell’aria).
Questa situazione cronica è determinata da vari fattori, alta concentrazione di attività industriali e zootecniche, alta densità di popolazione e dunque emissioni da traffico e riscaldamento edifici e, cosa che gioca un ruolo assai rilevante, condizioni meteoclimatiche assai sfavorevoli.
La mortalità in eccesso è però la punta di un iceberg più ampio di disturbi al sistema respiratorio e cardiocircolatorio associato all’esposizione cronica ad elevati livelli di inquinamento dell’aria. Dunque, pur senza una “prova” epidemiologica che possa correlare direttamente (e quantitativamente) la severità dell’impatto della pandemia con la (pessima) qualità dell’aria, cosa comunque rilevata nel caso cinese sopra citato, è però possibile affermare con certezza che la popolazione in pianura padana è più di altre cronicamente esposta a elevati livelli di inquinamento dell’aria e dunque alle conseguenze che ne derivano. E che, quindi, questo può essere uno dei co-fattori che plausibilmente aggravano la severità dell’impatto di una pandemia che attacca il sistema respiratorio.
Bisogna ricordare che a influenzare la severità dell’impatto ci sono altri fattori ben noti, come ad esempio la quota di fumatori nella popolazione, e come ha rilevato l’Istituto Superiore di Sanità “un terzo in più dei fumatori positivi al Covid-19 presentava all’atto del ricovero una situazione clinica più grave dei non fumatori, e per loro il rischio di aver bisogno di terapia intensiva e ventilazione meccanica è più che doppio” (ISS, 11 marzo 2020).
Inquinamento dell’aria e principio di precauzione
Per quanto non si possa arrivare a una conclusione generale quantitativa – i diversi studi valutano contesti specifici sui quali giocano molti fattori diversi – si può però affermare che l’inquinamento cronico dell’aria, come i picchi di concentrazione di polveri sottili e altri inquinanti, agisca come fattore peggiorativo nei casi di epidemie. Ed è perfettamente plausibile che ciò avvenga sia come possibile veicolo che amplifica la diffusione del virus sia come fattore di stress cronico che potrebbe rendere più vulnerabile la popolazione agli effetti dell’epidemia, anche se non è possibile nel caso italiano stabilire di quanto. Ci vorrà una ricerca più ampia come sopra richiamato da Fabrizio Bianchi, che includa il parametro della qualità dell’aria tra i fattori da considerare.
Applicando il principio di precauzione possiamo però dare una conclusione chiara: politiche ambientali più severe per il miglioramento della qualità dell’aria sono importanti di per sé e l’emergenza che stiamo vivendo non può che rafforzare questa conclusione. Come Greenpeace abbiamo dunque un motivo in più per continuare con ancora maggiore convinzione le nostre campagne per promuovere una mobilità sostenibile, uscire dall’era dei combustibili fossili, fermare i diesel, ridurre la produzione degli allevamenti intensivi, tutte importanti sorgenti di particolato primario o secondario.
Fonte: Greenpeace - Autore: Giuseppe Onufrio - Data: 20 Marzo 2020
Intervista a Marcello Ferruzzi, tossicologo del Centro Veleni dell’Ospedale Niguarda, che mette in guardia sul pericolo dei disinfettanti fatti in casa
L’allarme è serio: i rischi di intossicazione da disinfettanti fai da te è cresciuto in maniera esponenziale a causa di un loro utilizzo improprio e imprudente. Una situazione che ha spinto i responsabili del Centro Antiveleni dell’Ospedale Niguarda a diffondere un comunicato per richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica. Le cifre preoccupano: in questi giorni il centro milanese sta ricevendo il 65% in più di telefonate da parte di persone che dichiara malesseri per avere inalato o ingurgitato prodotti chimici preparati tra le mura di casa. A rischio soprattutto i bambini.
Per saperne di più, abbiamo intervistato il Dott. Marcello Ferruzzi, tossicologo del Centro Antiveleni dell’Ospedale Niguarda, che ha evidenziato gli aspetti più critici della faccenda.
Dottore quali sono le soluzioni disinfettanti ‘home made’ che stanno provocando maggiori rischi di intossicazione tra le mura di casa?
Sicuramente quelle a base alcolica e quelle a base di cloro. Il problema di fondo è che queste ‘ricette artigianali‘ vengono poi conservate in confezioni che potrebbero ingannare perché spesso si tratta di contenitori anonimi o che portano l’etichetta di una normale bottiglietta di acqua minerale. Un bambino la può quindi scambiare per una normale acqua da bere.
Cosa succede se ci si sente male dopo avere inalato o ingurgitato queste sostanze?
La prima cosa è chiamare subito il nostro numero (02661010329), spiegare bene l’accaduto e descrivere come ci si sente. Noi forniamo le prime informazioni di carattere generale che consistono essenzialmente nelle cose da non fare. Ovvero non indurre il vomito e non bere nessun tipo di liquido, latte o acqua che sia. Nella gran parte dei casi riusciamo a gestire tutto noi, ma se vediamo che la situazione necessita di ulteriore consultazione medica contattiamo il medico di famiglia o il pediatra se il caso riguarda un bambino.
Evitare quindi corse immediate al pronto soccorso?
Assolutamente sì. In questo momento il pronto soccorso è sotto fortissimo stress. Bisogna fare tutto il possibile per evitare che s’intasi ancora di più. Ripeto. Praticamente quasi tutti i casi da intossicazione come quella provocata dai disinfettanti sono generalmente gestibili al telefono.
Una delle domande che molti si pongono è: posso lavare la mascherina con un qualsiasi disinfettante?
Rispondo affermando che una mascherina imbevuta di candeggina alza il rischio di un’intossicazione. Io personalmente evito di farlo. Così come non ricorro nemmeno all’alcol etilico. Bisogna considerare che la pericolosità è un concetto relazionato alle dosi che devono essere sempre minime, ma molti cittadini non medici questo lo ignorano.
I dati percentuali delle chiamate che state ricevendo possono essere attribuiti in uguale maniera anche a Milano?
Diciamo che l’incremento del 65% della richiesta di consulenza che riceviamo quotidianamente fa riferimento all’intero territorio nazionale, essendo il nostro centro un riferimento per tutto il paese. Venendo alla sua domanda, direi che la risposta è sì, anche dal capoluogo lombardo riportiamo un analogo incremento delle telefonate.
Ma come spiega questo boom di soluzioni disinfettanti preparate a casa?
Principalmente perché in giro è difficile reperire e acquistare disinfettanti. Non diciamo che seguire i tutorial su Internet sia per forza sbagliato, ma mettiamo in guardia che è sempre meglio affidarsi a prodotti certificati. In tutti i casi bisogna sempre usarli con cautela. È quella che chiamiamo la ‘sindrome della casalinga troppo zelante’, oggi più che mai si vuole fare troppo, esponendosi a possibili problemi di salute.
Fonte: milanodabere.it - Autore: Matteo Cioffi - Data: 26 marzo 2020
Coronavirus Veneto, Luca Zaia in DIRETTA Facebook oggi, 26 marzo 2020. Un invito del presidente Zaia a comprare i quotidiani e guardare i Tg per informarsi. Poi passa subito al bollettino, con la crescita dei positivi. Stoccata ai cittadini, Zaia continua a ricordare ai veneti l'importanza di restare a casa, ma oggi fa un passo in più e li avverte: «Vi chiedo di fare una spesa grande e poi evitare i supermercati: non posso sentirmi dire dagli operatori che vanno più volte al giorno a comprare qualcosa per uscire di casa. Non costringetemi a fare ordinanze cattive». Infine un colpo alle norme che tutelano la Privacy dei cittadini, da Zaia considerate troppo "ingombranti" in questo momento storico: «Andrebbero sospese».
I numeri del Veneto
«Questi numeri, quelli dei contagiati in crescita, sono anche l'effetto tamponi, quasi 7mila sono positivi, il dato è di questa mattina. Stiamo crescendo con le dimissioni, questo dà la dimensione di cosa significhi un sistema sanitario che funzioni. Siamo riusciti a frenare la curva che avrebbe potuto impennarsi da un momento all'altro, ma i morti ci sono, è un bollettino di guerra. Vogliamo però darvi anche un dato positivo e di speranza: 91 nati, sono nati questi bambini, i nostri punti nascita continuano a funzionare e sono arrivati questi neonati in questo momento tragico».
Il modello matematico del contagio
«Lo stare in casa, l'atteggiamento che stiamo adottando, funziona: rallenta il contagio. Se portiamo avanti questa strategia e siamo prudenti, non ragionando con la logica del "tanto a me non toccherà mai". Bisogna evitare i contatti, anche con chi porta la spesa a casa, con i vicini, con persone estranee al nucleo familiare. Il virus resta sui materiali, bisogna pulire e disinfettare ogni cosa, areare la casa. Non fate visite agli anziani, sono i più a rischio. Il Coronavirus lo prendono tutti, abbiamo giovani, adolescenti, trentenni, non attacca solo gli anziani».
Il mondo intero si sta fermando
«Non serve più rispondere ai fenomeni dei social, New York fa 70mila contagi ogni tre giorni. Si è diffuso il fake che le cure per la malaria siano utili contro il Covid, una bufala che sta facendo morire le persone nel mondo».
Terapie intensive in più
«Siamo pronti, ma ricordate che chi arriva in terapia intensiva gioca alla roulette russa, vi prego, state in casa. Il caso di Valli di Chioggia, vorrebbero i tamponi per tutti, capisco l'ansia dei cittadini, se potessimo farli a tutti lo faremmo». «Stiamo mettendo su un contingente di terapia intensiva da paura, alcune le daremo a qualcun altro per aiutarli se avranno difficoltà, diventeremo donatori per chi avrà ancora questa emergenza». Lo ha sottolineato il presidente del Veneto Luca Zaia, a proposito dell'emergenza Coronavirus.
«Vi chiedo di fare una spesa grande e poi evitare i supermercati: non posso sentirmi dire dagli operatori che vanno più volte al giorno a comprare qualcosa per uscire di casa. Avete capito o no che non potete andare in giro con il cane? 200 metri sono 200 metri, vanno rispettati. Non costringetemi a fare ordinanze cattive. Idem per le farmacie: se volete andare in un posto dove gira il virus andate in farmacia o in ospedale. Come controllarli? Dobbiamo puntare sul senso civico. Abbiamo disponibilità anche da Israele per sistemi intelligenti di verifica degli spostamenti, ma cozzano con le norme sulla Privacy di questo Paese. A mio avviso queste norme andrebbero sospese in questo momento in Italia, e lasciare ai sistemi sanitari di essere un po' più liberi». Lo ha affermato il presidente del Veneto Luca Zaia, rispondendo ai giornalisti sull'opportunità di sistema di tracciamento degli spostamenti a scopo preventivo sul Coronavirus «Abbiamo avuto un crollo degli accessi al pronto soccorso da 4.200 a poco più un migliaio al giorno, i cittadini hanno capito di andare solo in caso di necessità, però la preghiera è di ascoltare quel che dico. Se non mi ascoltate ne veniamo fuori con le bare», ha concluso.
Donazioni
«Abbiamo passato i 13 milioni di euro, ringrazio tutti. Voglio oggi ringraziare l'Azienda Fassa, di Paolo Fassa (Spresiano), è stato uno dei primi a chiamarmi e ci ha dato 500mila euro. Anche Rino Mastrotto Group di Arzignano, 500mila euro. Infine Cereal docs, titolare Mauro Farin, altri 500mila euro. I nomi ve li dico perché penso che chi è a casa e sente il nome del collega possa pensare: "Voglio esserci anche io"».
Tamponi
«Personale ospedaliero: ne stanno facendo, penso che ci vorrà una settimana per coprire tutto il personale sanitario del Veneto. Arriviamo a 8mila, 10mila tamponi al giorno, per ora».
La Regione Veneto ha deciso di accelerare nella lotta contro il Covid-19 mettendo in campo una campagna che prevede la diffusione del tampone a gran parte della popolazione. Per farlo utilizzerà un sistema per lo screening sviluppato dall'azienda trentina Gpi, adattando un software già in uso da tempo nella campagna per la prevenzione del tumore al colon retto. La strategia dell'impiego massiccio del tampone naso-faringeo ha contraddistinto l'operare della Regione Veneto fin dalla comparsa del Covid-19 in Italia. I risultati di questo approccio hanno convinto gli specialisti a insistere in questa direzione, allargando ancor di più il raggio di copertura dell'esame. Per mettere in campo uno strumento efficace contro la pandemia da coronavirus, Gpi è partita dal sistema di screening del colon retto, che si è dimostrato il più adatto a ricevere modifiche per configurare un percorso per la gestione dei tamponi dello screening Covid-19. L'obiettivo della Regione Veneto, cui Gpi sta fornendo tutto il supporto necessario, è di effettuare i tamponi su tutte le fasce di popolazione a stretto contatto con il pubblico, quali operatori sanitari, forze dell'ordine, dipendenti di grandi supermercati e simili.
Avigan, farmaco giapponese sperimentato in Veneto
«A ore aspettiamo il protocollo dell'Aifa. Sarà il settimo sperimentato negli ospedali».
Finanziamenti e risorse
«Penso e spero che i 25 miliardi siano solo l'inizio». Lo ha affermato il presidente dle Veneto. «La Germania - ha proseguito Zaia - ne ha stanziati 525, gli Usa 2.000; potrei anche dire che per loro sono anche poco, certo è che abbiamo un'emergenza sanitaria e un'emergenza economica, e dobbiamo uscirne vivi. Se usciamo con l'emergenza economica non risolta non la finiamo più. Il territorio deve avere un'iniezione di risorse. Oggi servono poco a nulla, ma spero sia l'inizio di un grande stanziamento», ha concluso.
Europa
«Mi chiedo perché in Italia ancora si continui a rispettare l'Europa, mi chiedo come mai vi sia ancora questa sudditanza nei confronti dell'Europa, e non lo dice un antieuropeista»: Lo ha affermato il presidente del vento Luca Zaia durante il briefing su Coronavirus. «Io non ho le 'seghe mentalì - ha aggiunto - non ho discorsi strani in testa. Dico che l'Europa ha senso di esistere e ha una sua dimensione politica, e davanti a una crisi che è planetaria deve prender posizione», ha concluso.
Appello alle banche
«Siamo tutti della stessa partita, acceleriamo le misure che vadano incontro ai cittadini. Il procrastinare delle rate sarà una delle misure più adottate, che lo facciano prima».
Fonte: ilgazzettino - Data: 26 Marzo 2020
More...
Sappiamo che i coronavirus restano attivi fuori dagli organismi almeno per ore, in alcuni casi giorni: per questo è importante pulire le superfici e lavarsi le mani
Il nuovo decreto del governo per il “contenimento e la gestione” dell’emergenza sanitaria legata al coronavirus approvato domenica prevede, tra le altre cose, “interventi straordinari di sanificazione dei mezzi” del trasporto pubblico in tutta Italia. Provvedimenti simili sono stati assunti in altri paesi dove i contagi sono in aumento e sono considerati un’utile precauzione, in attesa di sapere con maggior chiarezza per quanto tempo riesca a rimanere attivo il coronavirus sulle superfici all’esterno di un organismo.
Virus e superfici
In generale, i virus restano attivi per diverso tempo dopo che sono usciti da un organismo e prima di infettarne un altro (in questa condizione sono virioni, particelle indipendenti). Questa capacità varia notevolmente a seconda dei tipi di virus e naturalmente delle condizioni ambientali.
Quelli che interessano le nostre vie aeree, come l’attuale coronavirus, si diffondono attraverso le piccole gocce di saliva che produciamo quando parliamo, tossiamo e starnutiamo. Queste goccioline possono raggiungere direttamente un’altra persona, causando il contagio, oppure possono depositarsi sulle superfici o essere depositate dall’infetto, per esempio se tocca qualcosa dopo essersi tossito o starnutito nella mano.
Le superfici più esposte sono quelle toccate più di frequente da molte persone, come le maniglie delle porte, le pulsantiere degli ascensori o i sostegni cui aggrapparsi sui mezzi del trasporto pubblico. Toccandoli, si può entrare in contatto con il virus depositato inconsapevolmente da qualcun altro: riesce poi a farsi strada nell’organismo, se per esempio ci si tocca la faccia (occhi, naso, bocca) con le mani sporche.
Quanto resistono i coronavirus sulle superfici
Da un paio di mesi migliaia di ricercatori in tutto il mondo stanno studiando le caratteristiche del coronavirus che causa la COVID-19, malattia che ha ormai interessato oltre 90mila persone, soprattutto in Cina dove sono stati registrati i primi casi alla fine del 2019. Oltre a studiare il modo in cui il virus si replica negli organismi, alcuni ricercatori hanno iniziato a compiere test ed esperimenti per valutare il tempo di quiescenza del coronavirus all’esterno degli organismi (cioè per quanto resiste prima di non essere più pericoloso).
Una risposta definitiva non è stata ancora trovata, ma una ricerca ha messo a confronto gli studi più rilevanti sui coronavirus condotti in passato, per identificare un arco temporale di massima. L’analisi delle 22 ricerche ha messo in evidenza che il coronavirus che causa la SARS, e che ha diverse cose in comune con quello attuale della COVID-19, può rimanere attivo su superfici poco porose come metallo, vetro e plastica fino a 9 giorni. Il coronavirus che causa la MERS ha capacità simili, così come altri coronavirus che infettano gli animali e non gli esseri umani.
E l’attuale coronavirus?
Non è ancora completamente chiaro quanto duri l’attuale coronavirus sulle superfici, ma ci sono comunque indizi consistenti sul fatto che possa rimanere attivo per diverso tempo fuori dagli organismi.
Quando sono stati registrati alcuni casi da coronavirus a Hong Kong in un tempio buddista, le autorità sanitarie locali hanno raccolto campioni da maniglie, lavandini e altri oggetti, sui quali è poi risultata la presenza del virus. Era quindi passato diverso tempo dal momento in cui le superfici erano state infettate, anche se non sappiamo di preciso quanto.
Le variazioni delle condizioni ambientali possono influire molto sulla capacità dei coronavirus di resistere sulle superfici, condizione che rende più complicate stime e previsioni sulla loro durata.
Disinfezione
Come molti altri virus, anche il coronavirus ha una scarsa capacità di resistere agli agenti disinfettanti più comuni per le superfici. È sufficiente una soluzione contenente tra il 60 e il 70 per cento di etanolo (alcol etilico) per inattivare il coronavirus, oppure l’impiego di una soluzione di acqua ossigenata allo 0,5 per cento o di candeggina (sodio ipoclorito) allo 0,1 per cento.
Superfici che appaiono pulite
Una maniglia o il tasto di un ascensore che appaiono puliti e luccicanti possono ugualmente ospitare sulla loro superficie il coronavirus, o altri tipi di virus e batteri. Come abbiamo visto, è sufficiente che queste superfici siano state toccate da una persona infetta e che aveva le mani sporche per contaminare.
In linea di massima: un oggetto può essere contaminato a prescindere da quanto appare pulito.
Sanificazione
La pulizia periodica delle superfici nelle aree comuni, siano mezzi pubblici o uno sportello alle Poste, consente di ridurre il rischio di entrare in contatto con il coronavirus e quindi la possibilità di ammalarsi di COVID-19. Una pulizia accurata di un autobus o di un vagone della metropolitana può fare la differenza, anche se il lavoro più grande (ma non così faticoso) spetta a noi.
Lavarsi le mani
Il sistema più valido e consigliato dalle autorità sanitarie per ridurre il rischio di contagio, da coronavirus ma più in generale da qualsiasi malattia infettiva, è lavarsi spesso e bene le mani. Non servono saponi antibatterici o disinfettanti di altro tipo: è sufficiente utilizzare acqua e sapone, avendo la pazienza di lavarsi le mani per almeno 20 secondi.
Fonte: Il Post - Data: 03 marzo 2020
«Sono emozionato». Ha iniziato con queste parole la sua prima conferenza stampa internazionale l’astronauta italiano dell’Esa Luca Parmitano, parlando ai giornalisti nel Centro spaziale astronauti dell’Agenzia Spaziale Europea a Colonia, alla presenza del Direttore Generale dell’Esa, Jan Woerner. Rientrato da appena due giorni dalla missione spaziale dell’Esa Beyond durata 201 giorni, Luca è apparso in piena forma.
Chiamato a scegliere un aspetto particolarmente rilevante di questa missione, Parmitano pur dichiarando che «è sempre difficile scegliere un evento su tutti gli altri» ha sottolineato «l’unità dell’equipaggio» a bordo della Stazione Spaziale Internazionale.
Pamitano ha sottolineato come il retaggio della Iss sia l’incredibile capacità di riuscire ad unire le persone a bordo sotto la grande bandiera della scienza: «A livello emblematico quei giorni trascorsi fra l’Expedition 60 e l’Expedition 61, quando sulla Iss sono arrivati il primo astronauta degli Emirati Arabi Uniti, il musulmano Hazza Ali al-Mansuri, e l’astronauta Jessica Meir di religione ebraica». «Si dice che nello spazio, sulla Iss le persone partono e lavorano come un equipaggio ma poi rientrano a Terra come fratelli e sorelle».
Non ha dimenticato le complesse e intense Attività Extraveicolari (Eva) compiute nel corso della missione Beyond (ben 4 ndr), l’astronauta italiano dell’Esa Luca Parmitano affermando di avere «percepito la perfezione dell’addestramento».
Ma è stata la fragilità del nostro pianeta il punto più importante sottolineato dal nostro astronauta. Una fragilità che dallo spazio si percepisce vera. L’astronauta dell’Esa ha sottolineato come vista dall’alto del nostro pianeta, dalla Stazione Spaziale Internazionale, «ti rendi conto che quello che hai visto fino questo momento della Terra è solo una piccolissima parte di un sistema vivente» che è a rischio. Ma, ha sottolineato Parmitano, «la vita continua ben oltre i danni che stiamo facendo perché l’universo è predisposto per la vita». A rischio invece «è l’uomo e bisogna agire».
Dallo spazio «si vede la fragilità, la bellezza della natura che si ribella». «Nei 7 mesi in orbita abbiamo assistito a uragani mai visti prima: dalle Bahamas a Portorico». «Abbiamo visto fuochi bruciare nelle foreste Amazzoniche, in Africa, in Australia». «Ho fotografato l’Australia per 4 mesi, un intero continente in rosso» ha commentato l’astronauta. «Questa fragilità così evidente ha l’effetto di farci pensare: qual è l’elemento più fragile? Me lo hanno chiesto anche al summit sul clima all’Onu. Era una domanda che non mi aspettavo: la cosa più fragile siamo noi uomini» è la risposta.
«La vita – ha osservato Luca Parmitano – continuerà ben oltre i danni che stiamo facendo, l’Universo è predisposto per la vita, la vita è perfettamente allineata con i principi della fisica, quindi continuerà ad esserci ma non è detto che in futuro ci sia l’uomo in questo sistema». «Se vogliamo preservare l’uomo è il momento di agire. È un problema che ci riguarda molto, molto da vicino» ha concluso l’astronauta.
Fonte: globalscience.it - Autore: Francesco Rea - Data: 8 febbraio 2020
Gli studi di Ispra raccontano che le aree del Po sono tra quelle con maggiore densità di rifiuti ma è sos anche nelle acque siciliane e del Mar Ligure. Ecco il lavoro dei pescatori-spazzini
Troppa plastica sui fondali
Mediterraneo malato grave
Una delle principali minacce ambientali del pianeta è la massiccia presenza di plastica in mare. Ad illustrare la situazione italiana arrivano i risultati delle attività effettuate da Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale del ministero dell’Ambiente e dal Sistema per la protezione dell’ambiente Snpa, che ha monitorato la qualità dei nostri mari negli anni 2017 e 2018. Il 7% degli otto milioni di plastiche in mare ogni anno, finisce nelle acque del Mediterraneo. Un dato che in termini di quantità significa che il 77% dei rifiuti presenti nelle nostre acque è composto dalla plastica, e che ogni zona di mare è colpita, a più livelli, da questo terribile fenomeno. Allarmante la situazione dei nostri fondali: nella regione adriatico-ionica la media degli scarti rinvenuti supera i 300 rifiuti ogni chilometro quadrato, l’86% dei quali è plastica, in particolare usa e getta. Imballaggi industriali e alimentari, shopper e bottiglie di plastica, comprese le retine per la mitilicoltura, sono i rifiuti più comuni. L’area costiera a sud del delta del Po (983 rifiuti al chilometro quadrato), quella settentrionale (910 rifiuti al chilometro quadrato) e meridionale (829 rifiuti al chilometro quadrato) sono le località adriatiche-ioniche con la maggiore densità di rifiuti in fondo al mare. Nelle acque siciliane sono stati rinvenuti quasi 800 oggetti di plastica, per un peso complessivo superiore ai 670 kg, mentre gli oltre 400 oggetti in plastica trovati nelle calette della Sardegna ammontano a quasi 90 kg. Nei fondali rocciosi, dai 20 ai 500 metri di profondità, il primato della concentrazione più elevata di rifiuti per ettaro va al Mar Ligure, con circa 1500 oggetti, seguito dal Golfo di Napoli (1200 oggetti). Significativo anche il dato relativo alla plastica pescata dai pescherecci (fondamentale la loro collaborazione), 224 mezzi coinvolti nel monitoraggio dei fondali marini nel mare Adriatico dal 2013 al 2019, ben 194 le tonnellate di rifiuti impigliati nelle reti dei pescatori, di cui 45 solo nella zona di Chioggia. Non ultimo, il dato sulle microplastiche, particelle di plastica praticamente invisibili (inferiori ai 5 millimetri) presenti in superficie che spesso finiscono per essere mangiate dai pesci che ritroviamo sulle nostre tavole: la densità media delle microplastiche è compresa tra 93mila e 204mila per chilometro quadrato. Anche nel nostro Paese il problema della plastica in mare è ormai tangibile e contribuisce ad una situazione internazionale insostenibile. L’Europa sta facendo la sua parte, varando nei mesi scorsi la nuova Direttiva che vieta a partire dal 2021 piatti, posate, cannucce, aste per palloncini, bastoncini cotonati e altri oggetti di consumo creati in plastica monouso. Una stretta, quella proveniente dalla Ue che, se non ancora decisiva, mira a indebolire ulteriormente il fenomeno della dispersione di plastica nell’ambiente. Il resto dobbiamo farlo noi. Il Parlamento approvando rapidamente il ddl 1310, fermo dal 15 luglio in Senato, per definire le misure per il recupero della plastica in mare con i relativi incentivi e noi fruitori dei nostri territori e delle nostre acque, per contribuire ad allungare la vita del pianeta, mantenendolo pulito.
Fonte: Messaggero Veneto - Autore: Alfredo De Girolamo - Data: 10 Ottobre 2019
Greta Thunberg batte Donald Trump: è la «Persona dell'Anno» del magazine americano Time. La sedicenne attivista svedese, che ha fatto milioni di proseliti nel mondo con la sua protesta contro i cambiamenti climatici, ha conquistato la prestigiosa e ambita copertina che dal 1927 ogni dicembre ritrae la persona che, nel bene o nel male, ha segnato gli ultimi dodici mesi. Greta, la più giovane Persona dell'anno sulla rivista, ha battuto il presidente degli Stati Uniti, negazionista sul global warming e ironico sino al sarcasmo sulla ragazzina con la sindrome di Asperger. La copertina è stata «sfilata» anche alla speaker della Camera Nancy Pelosi, alla talpa della Cia che ha fatto scattare il meccanismo dell'impeachment di Trump e ai manifestanti di Hong Kong.
E Greta sarà a Torino, venerdì 13, per il tradizionale appuntamento del movimento FridaysForFuture. «Ci vediamo alle 15 in piazza Castello - scrive l'attivista svedese sui social - Non vedo l'ora di unirmi allo sciopero per il clima a Torino, in Italia, sulla via del ritorno a casa». La sedicenne si trova infatti a Madrid per la Conferenza dell'Onu, Cop25, sui cambiamenti climatici.
Da attivista solitaria che ogni venerdì dall'agosto 2018 non andava a scuola per fare lo «sciopero per il clima» davanti al Parlamento di Stoccolma con un cartello scritto a mano e ormai diventato anche quello un simbolo, Greta (ormai non serve neanche più dire il cognome) si è scoperta suo malgrado la paladina globale dei diritti dei più deboli, delle giovani generazioni come delle popolazioni più povere colpite dagli effetti del riscaldamento globale. Il suo sciopero ha diffuso via via la consapevolezza dei rischi del riscaldamento globale che ha prodotto il movimento il «Fridays for future», fatto soprattutto di giovani ma non solo. E a loro ha dedicato questa copertina: «Wow, incredibile - ha twittato Greta ai suoi oltre tre milioni di follower - Voglio condividere questo grandissimo onore con tutti quelli che fanno parte del movimento Friday for the Future e con tutti gli attivisti per l'ambiente nel mondo». Ricordata per il suo sguardo feroce verso Trump, che sprezzante l'aveva presa in giro per il durissimo e appassionato discorso fatto all'Onu nel settembre scorso, Greta è sempre andata avanti. Ha usato parole dure contro capi di Stato e di governo l'anno scorso alla Conferenza sul clima in Polonia per la scarsa attenzione verso quello che dice la scienza e verso i giovani, fra cui loro «figli e nipoti». A Madrid da una decina di giorni (di rientro dagli Usa in catamarano per la sua scelta di vivere quanto più possibile a zero emissioni), con la sua immancabile borraccia rossa ha partecipato venerdì scorso allo sciopero per il clima (la stima è di 500mila persone) e da lunedì è intervenuta ad alcuni eventi alla Conferenza Onu sul clima.
Nell'ultimo non ha usato toni appassionati ma si è chiesta come mai fra i leader dei Paesi più ricchi «non c'è panico, non c'è un senso di emergenza» nè di «urgenza» nell'affrontare il problema del cambiamento climatico alla luce di tanti studi scientifici. Ha detto, però, rivolta ai negoziatori che «ingannano» la gente facendo negoziati che in realtà non segnano la svolta. «Non abbiamo più tempo per ignorare la scienza», ha ribadito elencando una serie di dati sul riscaldamento globale nel giorno in cui altri studi scientifici mettono in allarme sull'acidificazione degli oceani (88 aziende di combustibili fossili avrebbero grande responsabilità) o indicano che le imprese italiane stimano oltre 40 miliardi di euro per i rischi collegati al climate change.
E dallo spazio «sono evidenti gli effetti del clima che cambia» assicura l'astronauta Luca Parmitano, collegato dalla Stazione Spaziale con esperti riuniti alla Cop. Quella del clima è la sfida del 21esimo secolo, e l'Italia è molto impegnata nell'affrontarla, ha assicurato il ministro dell'Ambiente Sergio Costa evidenziando i risultati raggiunti dal nostro Paese, che sta già lavorando ad accogliere la pre-Cop26 a Milano dedicando ampio spazio proprio ai giovani. Che a Madrid sono scontenti di come vanno i negoziati (non sarebbero a buon punto mentre ci si avvicina alla fine) e hanno protestato dentro e davanti la sala delle riunioni di alto livello chiedendo «azione ora». Ma il Comitato europeo delle Regioni, nel ricordare la grande responsabilità dei governi locali nella lotta al cambiamento climatico rispetto alle politiche nazionali rivendica risultati degli enti locali e chiede di poter entrare nei negoziati dei governi con un ruolo più diretto per dare il proprio contributo ai tavoli di decisione. Intanto, dopo il suo ultimo appello Greta annuncia che a Natale trascorrerà un po' di tempo in famiglia. «Se non ti prendi delle pause, non sei in grado di andare avanti», dice lasciando la Cop di Madrid.
ilgazzettino Fonte: ilgazzettino.it - Data: 11 dicembre 2019